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Così tu, così io: solo una madre e una figlia

Domenica pomeriggio sono andata a trovare mia madre, lei che ormai non mi riconosce più, lei che mi guarda con quei suoi occhi trasparenti che non trovano sul mio volto alcun tratto familiare.

In questa lama di dolore che mi attraversa e mi ferisce ogni volta, quando lei guardandomi mi chiede “Chi sei?”, domenica mi sono accomodata.

Invece di combatterla e di resisterle.

Faceva male.

Ma mi sentivo come arresa, senza più difese e troppo stanca anche solo per risponderle.

E venivo da giorni faticosissimi, di preoccupazioni pesanti, ed ero esausta.

Avevo bisogno di riposare e invece ero lì e lei mi guardava e mi chiedeva “Chi sei?”.

Allora le ho detto: “Mamma, sono la Ceci. Posso stare un po’ qui con te al caldo? Mi riposo un po’”.

Mi sono seduta vicina a lei, ho appoggiato la testa sulla sua spalla e l’ho abbracciata.

Io e la mia mamma eravamo così, in silenzio, sotto quella copertina di pile bianco.

Stavo male, ma stavo bene. Mi sentivo protetta, lì al caldo, così abbracciate.

La mia mamma ha l’Alzheimer. Non ricorda nulla di quello che le si dice, non sa cos’è una scarpa, vuole tornare a casa sua perché quella dove abita, sostiene, non è la sua casa e quando le prende così non è facile. Si agita per un nonnulla e fatica a trovare le parole per dire ogni cosa, che le viene fuori in maniera sconnessa.

A un certo punto, nel silenzio, sono emerse queste sue parole: “Cecilia, faccela, faccela”.

Lacrime e lacrime, che ho cercato di trattenere, per non turbarla inutilmente.

Ho odiato questa mia madre ammalata, perché la sua malattia ha riaperto ferite antichissime del nostro essere madre e figlia, che pensavo non dovessero più sanguinare. Conflitti feroci che pensavo pacificati.

Allora ho provato a conoscere questa mia madre ammalata, a stare nella rabbia per il suo essere così. Così come era stata con me, così come era.

Ho cercato di stare con lei, semplicemente, perché lei potesse essere solo felice. Perché insieme potessimo essere felici, forse per la prima volta, anche se lei è ammalata.

Abbandonata, arresa nel nostro abbraccio al di là di ogni razionale evidenza, mi ha raggiunta la sua parola di conforto e di sostegno, e ho sentito il calore e la tenerezza avvolgermi e lenire le mie ferite.

E lì, in quell’attimo, mi è parso di intuire ciò che in quel momento eravamo: non so cosa, forse solo amore profondo, immemore, senza tempo e oltre ogni conflitto. In pace.

Come due cuori che si incontrano, a modo loro, oltre le parole, solo nel senso sentito di ciò che è così come è.

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